Parliamo di strade, ma non di quelle che portano alla gloria. Parliamo delle strade che portano al cimitero. Nel 2023, i decessi stradali nell’Unione Europea sono diminuiti dell’1% rispetto al 2022. Una notizia che potrebbe suonare bene, se non fosse che quel “1%” è più simile a una bugia statistica che a un reale miglioramento. E in Italia? Qui la situazione si racconta da sola: il progresso è un miraggio. Dal 2019 a oggi, i miglioramenti sono stati minimi, tanto che la meta fissata dall’UE di ridurre del 50% le vittime entro il 2030 appare un’utopia, almeno per il nostro Paese.
Ma chi sta uccidendo chi?
È questa la domanda che dovremmo porci, perché i numeri raccontano storie che nessuno vuole ascoltare. La media europea è di 46 morti per milione di abitanti, un dato che divide l’Unione in due blocchi: quelli che ci riescono e quelli che falliscono. La Svezia, con 22 morti per milione, guida il gruppo dei virtuosi, seguita dalla Danimarca con 27. E poi ci sono Bulgaria e Romania, con 82 e 81 rispettivamente, che sembrano aver fatto un patto di sangue con l’incoscienza stradale. In Italia, siamo più vicini ai secondi che ai primi, e questa non è una medaglia di cui vantarsi.
Gli uomini rappresentano il 77% delle vittime. Una statistica che forse non sorprende, ma che mette a nudo una realtà triste: quando si tratta di guidare male e morire peggio, il genere maschile primeggia senza rivali. Tra le vittime, il 45% sono occupanti di auto, il 19% utenti di due ruote e il 10% ciclisti. Quest’ultimo gruppo è in aumento, un fenomeno direttamente collegato all’inadeguatezza delle infrastrutture per la mobilità dolce. Insomma, più persone salgono in sella, più aumentano i decessi. Una correlazione che dovrebbe far riflettere, ma che invece viene ignorata come una buca sull’asfalto.
E poi ci sono le strade rurali, che si confermano il palcoscenico del 52% degli incidenti mortali. Non che le città siano esenti da colpe, ma la narrazione urbana che concentra tutto il discorso sulla sicurezza stradale nei centri abitati dimentica che là fuori, sulle strade di campagna, si muore in silenzio. È il paradosso dell’attenzione selettiva: ci preoccupiamo dei monopattini sui marciapiedi, ma ignoriamo le strade senza illuminazione, senza segnaletica e senza speranza.
La fascia d’età più colpita? Gli anziani e i giovani. Da un lato, gli over 65, più vulnerabili per evidenti limiti fisici. Dall’altro, i giovani tra i 18 e i 24 anni, che spesso scambiano la strada per una pista di Formula 1. Sono due mondi opposti, ma accomunati dallo stesso tragico destino. E non è solo colpa loro: le infrastrutture, i controlli e la prevenzione sono spesso più assenti delle frecce negli incroci.
Il vero problema è la cultura
In Italia, la guida è vista come un diritto acquisito, non come una responsabilità. Le campagne di sensibilizzazione? Spesso ridotte a spot insipidi che predicano al coro o, peggio, ignorano del tutto le vere cause degli incidenti. Parliamo di velocità, di distrazioni al volante, di alcol e droghe. E parliamo anche di quella mentalità che considera il codice della strada un fastidio burocratico, non una guida per salvare vite.
Ma non tutto è perduto. Ci sono Paesi che dimostrano che il cambiamento è possibile. La Svezia e la Danimarca non hanno raggiunto i loro numeri per caso. Hanno investito in infrastrutture sicure, in controlli rigorosi e in una cultura della responsabilità stradale che inizia già nelle scuole. Hanno capito che la sicurezza stradale non è un optional, ma una priorità. E hanno dimostrato che ridurre le vittime è possibile, se si ha la volontà di farlo.
In Italia, siamo ancora lontani da questo approccio. I progressi sono lenti, le politiche frammentate e le risorse insufficienti. Ma non possiamo permetterci di rimanere indietro. Ogni vita persa sulla strada è una tragedia, ma è anche un fallimento collettivo. È il fallimento di un sistema che non protegge i suoi cittadini, che non investe abbastanza nella prevenzione e che non ha il coraggio di affrontare i problemi alla radice.
Quindi, se vogliamo davvero un dialogo significativo sulle morti in strada, dobbiamo iniziare a guardare oltre le statistiche. Dobbiamo capire chi sta uccidendo chi, dove e perché. Dobbiamo smettere di accettare che morire sulla strada sia una fatalità e iniziare a trattarlo per quello che è: un problema risolvibile. E dobbiamo farlo ora, perché ogni giorno che passa senza un cambiamento è un giorno in cui altre vite verranno spezzate inutilmente.