Finalmente ci siamo. La Commissione Europea ha dato il via libera all’acquisizione di ITA Airways da parte di Lufthansa, e il cielo d’Europa si prepara a un nuovo gigante dell’aviazione: una flotta di 920 aerei e il controllo del mercato che passa da una stretta di mano a una sfilza di zeri. Ma non c’è gloria in questa storia, almeno non per l’Italia. Perché l’intera vicenda di Alitalia e del suo discendente, ITA Airways, è l’ennesima dimostrazione di come il nostro Paese sia capace di spendere miliardi, promettere rinascite e, infine, svendere il tutto al miglior offerente straniero.
Un’agonia lunga decenni
Prima di parlare di Lufthansa, facciamo un salto indietro, verso i gloriosi anni di Alitalia. Quell’azienda che era l’orgoglio nazionale, un simbolo di eccellenza, un mito che volava alto… finché non è precipitata. Per decenni, i governi italiani hanno cercato di salvare Alitalia dal baratro, pompando miliardi di soldi pubblici in una compagnia che sembrava più interessata a far quadrare i bilanci con la fantasia che a vendere biglietti.
Le cifre sono impressionanti: secondo alcune stime, dal 2008 ad oggi, l’Italia ha speso oltre 13 miliardi di euro per salvare una compagnia aerea che non voleva essere salvata. E per cosa? Per un destino già scritto. Alitalia, ridotta a brand nostalgico, è stata sostituita da ITA Airways nel 2021, una startup travestita da erede, ma con le stesse dinamiche disfunzionali. E ora? Ora l’Italia ha venduto il suo ultimo gioiello aeronautico alla Germania. Non c’è che dire, un finale degno di una tragedia greca.
Lufthansa: l’acquirente perfetto
Diamo a Lufthansa quel che è di Lufthansa. La compagnia tedesca sa cosa sta facendo. Non è entrata in questo affare per sentimentalismo o per amore dell’Italia. Lufthansa è qui per il profitto, e ITA Airways è una pedina strategica nel suo piano di dominio dell’aviazione europea.
Con questa acquisizione, Lufthansa non solo consolida la sua posizione come leader di mercato, ma acquisisce anche l’accesso a uno dei mercati turistici più importanti del mondo: l’Italia. Pensateci. Venezia, Roma, Firenze, Napoli: ITA è un biglietto d’oro verso le città che ogni turista sogna di visitare. Lufthansa non comprava aerei, comprava destinazioni.
E cosa ottiene l’Italia in cambio? Un po’ di liquidità e un’enorme dose di umiliazione. Perché, diciamolo chiaramente: questa vendita non è un trionfo per il governo italiano, è un’ammissione di fallimento.
Il grande bluff delle compagnie nazionali
Parliamo dell’illusione della “compagnia di bandiera”. Un concetto che in Italia è stato trattato come un dogma, un simbolo dell’orgoglio nazionale, anche quando non c’era più nulla di cui essere orgogliosi. Ma cos’è una compagnia di bandiera nel 2024? È una reliquia di un passato in cui i governi controllavano i cieli, prima che il libero mercato trasformasse l’aviazione in una giungla spietata.
L’Italia, però, ha continuato a credere in questa favola, spendendo miliardi per mantenere in vita un’azienda moribonda. Lufthansa, nel frattempo, ha giocato sul lungo periodo. Ha aspettato che l’Italia cadesse in ginocchio, ha messo sul tavolo un’offerta ragionevole e ha vinto. Non c’è nulla di sorprendente in tutto questo. È il capitalismo, bellezza.
Un nuovo capitolo o l’inizio della fine?
Ora che Lufthansa ha il controllo, cosa succederà? Ufficialmente, ITA Airways continuerà a operare sotto il suo nome, ma sappiamo tutti come funziona. Gradualmente, il marchio italiano scomparirà, le decisioni strategiche saranno prese a Francoforte e il sogno di un’aviazione italiana autonoma svanirà.
I sostenitori dell’accordo diranno che questa è una vittoria: Lufthansa porterà stabilità, efficienza e investimenti. Ma c’è un lato oscuro. Ogni volta che una grande azienda straniera acquisisce un pezzo d’Italia, perdiamo un pezzo della nostra identità economica. È successo con la moda, con il cibo, con l’energia. Ora sta succedendo con i cieli.
Il costo del fallimento: miliardi nel cesso
Ma torniamo alla vera questione: quanto ci è costato tutto questo? Più di 13 miliardi di euro in bailout, prestiti e piani di rilancio falliti. Soldi che potevano essere investiti in infrastrutture, sanità, istruzione. Soldi che abbiamo buttato in un buco nero, inseguendo un sogno irrealizzabile.
E ora, dopo aver speso tutto questo, vendiamo ITA Airways per una frazione di quello che ci è costata. È come se avessimo comprato un’auto di lusso, l’avessimo guidata per due settimane e poi l’avessimo venduta per il prezzo di un caffè. Un capolavoro di gestione finanziaria, non c’è che dire.
Cosa imparare da tutto questo?
Se c’è una lezione da apprendere, è questa: il nazionalismo economico non funziona in un mercato globale. L’Italia ha cercato di salvare una compagnia aerea perché era “nostra”, ma non ha mai affrontato i problemi strutturali che l’hanno portata al fallimento. E ora, il prezzo di questa illusione lo pagano i contribuenti.
Ma c’è un’altra lezione, forse più amara: l’Italia sembra incapace di valorizzare i suoi asset strategici. Dalla moda all’energia, dal cibo all’aviazione, continuiamo a vendere pezzi del nostro Paese al miglior offerente. E ogni volta ci raccontiamo che è per il meglio, che è necessario, che non c’erano alternative.
La storia di ITA Airways non è quindi una sorpresa. Era scritta nelle stelle, o meglio, nei bilanci. Ma è comunque una sconfitta. Non per Lufthansa, che ha fatto un affare d’oro, ma per l’Italia, che ha dimostrato ancora una volta la sua incapacità di gestire le proprie risorse.
E mentre gli aerei ITA decollano verso un futuro tedesco, noi restiamo a terra, a guardare. Con un misto di rabbia, delusione e, ammettiamolo, un sorriso beffardo in volto. Perché, in fondo, sapevamo che sarebbe finita così. Come sempre.