Quando il Primo Ministro di uno Stato sale sul banco dei testimoni, il mondo guarda. Quando quel Primo Ministro è Benjamin Netanyahu, la scena si trasforma in un misto tra una puntata di House of Cards e una commedia noir. Il 10 dicembre 2024, il leader israeliano si è presentato in tribunale a Tel Aviv, accusato di corruzione, frode e abuso di fiducia. Lui, come al solito, non ha esitato a definirle una “caccia alle streghe”.
Sarà davvero così? Oppure siamo di fronte all’ennesimo esempio di un potente che gioca la carta della vittima mentre cerca disperatamente di tenere insieme il proprio castello di carte? Spoiler: le streghe, a differenza dei politici corrotti, spesso non esistono.
Le accuse: sigari, champagne e favori mediatici
Partiamo dai fatti. Netanyahu è coinvolto in tre casi distinti, ognuno dei quali sembra uscito da un manuale su “Come non governare un Paese con integrità”:
- Caso 1000: Netanyahu avrebbe ricevuto regali di lusso – parliamo di champagne pregiato e sigari cubani – da parte di uomini d’affari in cambio di favori politici. Un leader che scambia politiche per champagne non sembra esattamente un campione di sobrietà morale.
- Caso 2000: Presunti accordi con l’editore di un quotidiano per ottenere una copertura favorevole in cambio di sabotare un giornale concorrente. Insomma, un’operazione mediatica in stile Il Padrino.
- Caso 4000: Accuse di aver favorito la società di telecomunicazioni Bezeq in cambio di una copertura positiva sul sito di notizie Walla. Un classico: corruzione 2.0 nell’era digitale.
Netanyahu, ovviamente, nega tutto. Per lui, queste accuse sono il prodotto di una cospirazione orchestrata dai suoi nemici politici e dai media “di sinistra”. Ehi, ho un deja-vù! Ma è difficile ignorare i dettagli: regali, favori, e un uso spregiudicato del potere sembrano troppo specifici per essere solo il frutto di immaginazioni fervide.
La “caccia alle streghe”: una strategia vecchia ma efficace
La retorica della “caccia alle streghe” non è nuova. Trump l’ha usata negli Stati Uniti, Berlusconi l’ha trasformata in un’arte in Italia. Netanyahu si unisce al club, dipingendosi come un eroe assediato da forze oscure. È un trucco vecchio, ma funziona: polarizza l’opinione pubblica, rafforza il sostegno della base e distoglie l’attenzione dai fatti.
E poi, diciamolo, chiamarla “caccia alle streghe” è un po’ eccessivo. Nessuno sta bruciando Netanyahu sul rogo. Anzi, è seduto comodamente in tribunale, difeso da un team di avvocati strapagati. Se questa è una caccia alle streghe, è la versione di lusso, con champagne e tartine.
Il contesto politico: Israele in bilico
Questo processo arriva in un momento delicato per Israele. Il Paese è diviso come mai prima d’ora, con tensioni interne che spaziano dai diritti civili alla sicurezza nazionale. Netanyahu, un maestro della sopravvivenza politica, ha sempre saputo sfruttare queste divisioni a suo vantaggio.
Ma quanto potrà durare? La sua presenza in tribunale è un colpo all’immagine di Israele come democrazia forte e trasparente. I suoi sostenitori gridano al complotto, mentre i detrattori vedono in questo processo una rara opportunità di ritenere un leader politico responsabile delle sue azioni.
E poi c’è la questione della stabilità. Un Primo Ministro sotto processo non è esattamente un simbolo di forza e unità. Le sfide esterne – dai conflitti regionali alle tensioni con l’Iran – non aspettano, e Israele non può permettersi un leader distratto dai suoi guai giudiziari.
Le implicazioni globali: una questione di democrazia
Il processo Netanyahu non riguarda solo Israele. È un test per la democrazia in generale. Dimostra che anche i leader più potenti possono essere chiamati a rispondere delle loro azioni, almeno in teoria. Ma dimostra anche quanto sia difficile separare la giustizia dalla politica.
La comunità internazionale osserva attentamente. Alcuni vedono in questo processo un esempio di accountability. Altri, invece, temono che possa destabilizzare ulteriormente una regione già instabile. E poi c’è chi, più cinico, pensa che alla fine non cambierà nulla: Netanyahu è troppo abile per cadere davvero.
Netanyahu in tribunale: l’arte della narrazione
La performance di Netanyahu in tribunale è stata degna di un attore consumato. Ha risposto con calma, ha sorriso quando necessario e ha usato ogni occasione per ribadire la sua innocenza. È un maestro della narrazione, capace di trasformare un processo per corruzione in un referendum sulla sua leadership.
Ma anche i migliori narratori possono sbagliare. Se le prove contro di lui reggeranno in tribunale, Netanyahu potrebbe trovarsi di fronte a un finale ben diverso da quello che immagina. E allora, la domanda diventa: il sistema giudiziario israeliano sarà abbastanza forte da resistere alle pressioni politiche?
Un leader in crisi, un Paese in bilico
Il processo contro Benjamin Netanyahu è quindi più di una semplice questione legale. È uno specchio delle tensioni politiche, sociali e morali che attraversano Israele. È una prova della resilienza delle istituzioni democratiche in un’epoca in cui il populismo e la polarizzazione minacciano di distruggerle.
E mentre Netanyahu continua a gridare alla caccia alle streghe, il mondo guarda, chiedendosi quale sarà il prossimo capitolo di questa storia. Sarà un trionfo della giustizia? O l’ennesimo esempio di come il potere corrompa tutto, persino la verità? Per ora, tutto è in bilico. Ma una cosa è certa: Netanyahu non andrà giù senza combattere. E noi, nel frattempo, continueremo a guardare, con un misto di curiosità, indignazione e, forse, un po’ di schadenfreude (o gioia maligna).