Matteo Salvini, ministro e leader di una politica fatta di confini invalicabili e proclami a effetto, esce dal tribunale con una sentenza che grida “assolto”. Il caso Open Arms, quell’episodio che ha fatto il giro del mondo e diviso l’Italia in due blocchi – pro e contro – si conclude con una decisione che, come ogni finale, non mette fine a nulla. Sequestri di persona, rifiuto di atti d’ufficio, il blocco di 147 migranti in mare: tutto archiviato con un “il fatto non sussiste”. Ma mentre Salvini sorride, l’opinione pubblica si spacca come una nave contro gli scogli.
Confini chiusi, polemiche aperte
Torniamo ad agosto 2019. È estate, il sole brucia il Mediterraneo e Salvini, allora ministro dell’Interno, decide di tenere bloccata la nave Open Arms al largo di Lampedusa. Migranti, donne, bambini, persone in fuga da tutto ciò che chiamiamo “orrore”, lasciati in mare per giorni. Per il leader della Lega, però, non era disumanità, era difesa nazionale. Lui parlava di “sicurezza”, di “prima gli italiani”, di “linea dura”. Gli altri parlavano di diritti umani violati, di leggi ignorate, di scelte politiche che puzzavano di propaganda.
Fast forward al 2024, e la giustizia decide che no, non c’è stato sequestro di persona, non c’è stata violazione. Salvini ha agito entro i limiti del suo mandato, ha difeso il Paese. E qui sta il cortocircuito: la politica che si intreccia alla legge, il diritto che si piega alla narrazione di chi governa.
Il sorriso del leader, il silenzio del mare
Non è la prima volta che Salvini trasforma una vicenda giudiziaria in un trampolino politico. Il suo commento post-assoluzione? “Sono orgoglioso di aver difeso i confini del mio Paese. Lo rifarei e lo rifarò.” Tradotto: non solo ho vinto, ma questa vittoria è il mio manifesto elettorale. E c’è da scommettere che nei prossimi comizi, il caso Open Arms diventerà un trofeo da sventolare, la prova che la linea dura paga.
Ma mentre Salvini festeggia, resta il silenzio del mare. Quel mare che per giorni è stato casa – se così si può chiamare – di 147 persone in cerca di salvezza. Non sono numeri, sono storie. Storie che oggi si perdono nei commenti sulla sentenza, nelle dichiarazioni ufficiali, nelle polemiche sterili dei social. Perché, alla fine, chi parla più di loro?
La giustizia che divide
L’assoluzione non chiude la questione. Se mai, la amplifica. Da una parte, chi applaude: “Finalmente una vittoria per l’Italia, per chi protegge il Paese.” Dall’altra, chi si indigna: “È una sconfitta per i diritti umani, un pericoloso precedente.” E nel mezzo, una giustizia che sembra non avere il potere di sanare le ferite, ma solo di allargarle.
Perché non importa se Salvini è stato assolto. Il dibattito su cosa è giusto e cosa è sbagliato resta aperto. Era giusto lasciare quelle persone in mare? Era giusto negare l’autorizzazione allo sbarco? Salvini ha agito come ministro o come politico in cerca di voti? Sono domande che non troveranno risposta in una sentenza. E forse è proprio questo il problema: la giustizia stabilisce la legalità, ma non la moralità.
Il circo mediatico e i suoi protagonisti
E poi ci sono loro, gli spettatori. Noi. L’opinione pubblica che si spacca, che si infiamma, che si trasforma in una giuria parallela. I social che esplodono di commenti, i talk show che cavalcano la polemica, le ONG che si indignano, i sostenitori della Lega che esultano. È un circo, ed è Salvini il domatore. Lui lo sa, lo ha sempre saputo. Ogni polemica è un’occasione, ogni attacco è un’opportunità. Perché in politica, la visibilità è tutto. E Salvini, piaccia o meno, è un maestro in questo gioco.
Ma mentre noi discutiamo, mentre scriviamo post e litighiamo nei commenti, il mare resta lì, indifferente. Indifferente come le vite di chi lo attraversa, spesso ridotte a statistiche, a numeri che non fanno notizia se non per un giorno.
Un precedente pericoloso?
E poi c’è la domanda che inquieta molti: questa sentenza cosa significa per il futuro? Salvini è stato assolto, ma il messaggio che passa è chiaro: bloccare una nave, tenere in mare decine di persone, rifiutare lo sbarco, tutto questo può rientrare nelle prerogative di un ministro. È un precedente che potrebbe legittimare scelte ancora più dure, ancora più disumane.
E mentre le ONG denunciano, mentre i critici gridano al pericolo, il rischio è che questa sentenza venga usata per giustificare politiche sempre più restrittive. Politiche che, in nome della sicurezza, calpestano la dignità umana. Politiche che ci fanno dimenticare che, dietro ogni migrante, c’è una persona, non un problema da risolvere.
Il mare non dimentica
C’è una frase che Salvini ha detto spesso: “Non mollo.” E in effetti non molla mai. Non ha mollato nel 2019, quando ha tenuto bloccata la Open Arms. Non ha mollato nel processo, trasformando ogni udienza in un palcoscenico. E non molla oggi, usando l’assoluzione come una vittoria personale e politica. Ma mentre lui non molla, il mare non dimentica.
Non dimentica le vite perse, le speranze spezzate, i sogni affondati. Non dimentica i volti di chi ha attraversato quell’orizzonte in cerca di salvezza. E forse dovremmo imparare anche noi a non dimenticare. Perché il caso Open Arms non è solo una vicenda giudiziaria. È un simbolo. Un simbolo di ciò che siamo disposti a fare – o a ignorare – in nome della sicurezza. Un simbolo di ciò che la politica può diventare, se mettiamo i voti prima delle persone.
Salvini, l’Italia e il futuro
Alla fine, resta una domanda: questa assoluzione cambia qualcosa? Per Salvini, sicuramente. È un successo personale, una rivincita contro i suoi detrattori, un’arma da usare nei prossimi comizi. Ma per l’Italia? Per il mondo? Per le persone che continuano a morire in mare? La risposta, temo, è no.
Perché il problema non è Salvini. Non è una sentenza, non è un caso giudiziario. Il problema è un sistema che continua a vedere i migranti come una minaccia, non come esseri umani. Il problema è una politica che usa la paura come arma, che preferisce i muri ai ponti, che si nutre di divisioni.
E finché non affronteremo questo problema, finché non cambieremo davvero il modo in cui guardiamo al mondo, ogni assoluzione, ogni condanna, ogni sentenza sarà solo un episodio in una storia che continua a ripetersi. Una storia in cui il mare resta sempre lì, a ricordarci ciò che vorremmo dimenticare. E forse, alla fine, è proprio questo il problema: il mare non dimentica, ma noi sì.