Trump, dazi e caos: il mondo si sveglia con un’altra guerra commerciale

L’economia globale è un immenso campo di battaglia, e Donald Trump sembra deciso a rilanciare il suo ruolo di generale supremo nel protezionismo. Nuovi dazi, nuovi nemici, vecchi slogan: America First, gli altri poi vediamo. Dopo aver imposto tariffe del 25% su Canada e Messico e un bel 10% sulla Cina, il tycoon più imprevedibile della storia politica moderna ha riaperto le danze di una guerra commerciale che sembrava ormai acqua passata. Ma il passato, si sa, tende a ripetersi, soprattutto quando c’è di mezzo un certo tipo di leadership con il gusto del conflitto.

La logica del muro: anche economico

Trump ha giustificato i nuovi dazi con due argomentazioni: fermare il traffico di fentanyl e l’immigrazione clandestina. Quindi, riepiloghiamo: per evitare che gli Stati Uniti vengano invasi da droga e migranti, ha deciso di colpire economicamente i Paesi vicini, che peraltro sono tra i maggiori partner commerciali di Washington. Sembra la logica di chi spezza la matita perché non vuole fare i compiti.

La mossa ha ovviamente scatenato il caos: il Canada, che di solito mantiene la calma anche quando fa meno venti gradi, ha risposto con tariffe speculari. E quando Trudeau si arrabbia, vuol dire che l’hai fatta grossa. Messico e Cina non sono rimasti a guardare. Pechino, con il suo consueto tono diplomatico misto a minaccia velata, ha annunciato che porterà la questione davanti al WTO (Organizzazione mondiale del commercio), come un professore che minaccia di dare una nota sul registro. Non che il WTO faccia paura a Trump, che già in passato ha mostrato di avere lo stesso rispetto per le regole del commercio internazionale che un adolescente ribelle ha per l’ora di rientro a casa.

Il Canada sbotta: “Va bene tutto, ma la birra no”

Justin Trudeau, sempre così pacato e rassicurante, ha tirato fuori il lato oscuro del Canada: ha imposto dazi su birra, vino, frutta, verdura, elettrodomestici, legname e plastica. Ora, colpire la plastica potrebbe anche essere una buona idea per l’ambiente, ma colpire la birra è una dichiarazione di guerra. Un attacco diretto ai pub, ai barbecue estivi e ai tifosi di hockey. Se volevano far arrabbiare i canadesi, ce l’hanno fatta.

Trudeau ha detto chiaramente che il Canada non vuole una guerra commerciale, ma se deve difendere i propri interessi, lo farà. E a quanto pare, la prima linea del conflitto sarà il bancone di un bar.

La Cina: “Il fentanyl non è colpa nostra”

La reazione cinese è stata meno emotiva, più glaciale. Il governo di Pechino ha rigettato le accuse di traffico di fentanyl, definendole una distrazione dal vero problema: gli Stati Uniti stessi. Il che, detta così, è un’affermazione affilata. Come a dire: non è colpa nostra se vi drogate, pensate piuttosto ai vostri tossicodipendenti. Ma la Cina non si è fermata qui. Ha annunciato ritorsioni economiche e ha detto che porterà la questione davanti al WTO, un’istituzione che Trump considera più o meno utile quanto il codice della strada per un pilota di Formula 1.

E qui sta il vero problema: se la Cina decide di rispondere con forza, il mondo intero ne pagherà il prezzo. Perché quando due giganti si prendono a schiaffi economici, chi sta nel mezzo si becca le onde d’urto.

Effetti globali: un domino pronto a cadere

L’Unione Europea, che cerca sempre di stare in equilibrio tra Stati Uniti e Cina, ha già avvertito: se i dazi finiranno per colpire anche le aziende europee, la risposta sarà dura. Perché la storia insegna che quando inizi a giocare con le tariffe doganali, il rischio è che tutti rispondano nello stesso modo, e in poco tempo ti ritrovi con il mondo bloccato da barriere economiche degne di un medioevo commerciale.

Il ministro italiano Adolfo Urso ha dichiarato che un’escalation dei dazi potrebbe essere “devastante” per l’economia europea. E se c’è qualcosa che l’Europa non può permettersi ora, è un’ulteriore destabilizzazione economica.

Trump, il re del caos

Ma Trump non sembra preoccupato. Per lui, la politica commerciale è un’estensione della sua filosofia di vita: attaccare, destabilizzare, vincere. Poco importa se le economie soffrono, se i mercati crollano, se gli alleati si innervosiscono. Nel suo mondo, tutto è negoziabile, tutto è una partita a poker. E lui crede sempre di avere il punto più alto.

Ma la domanda è: questa strategia paga davvero? Negli anni della sua presidenza, ha imposto dazi alla Cina con l’obiettivo di ridurre il deficit commerciale. Il risultato? Il deficit è aumentato. I produttori americani hanno sofferto, gli agricoltori sono stati colpiti, e alla fine molte aziende hanno semplicemente aumentato i prezzi per i consumatori.

Questa volta sarà diverso? Difficile crederlo. Anche perché il mondo del 2025 non è più quello del 2018: la Cina è più forte, l’Europa è più instabile, e l’America ha già visto i danni del protezionismo.

Cosa succederà ora?

Ora le domande chiave sono due: quanto si spingeranno oltre le ritorsioni internazionali? E Trump è davvero disposto a rischiare un crollo economico pur di dimostrare la sua forza?

Gli scenari possibili sono due:

  1. Trump indietreggia, dichiarando vittoria. Fa qualche modifica ai dazi, annuncia di aver raggiunto un grande accordo e si ripresenta come il salvatore dell’economia americana.
  2. La guerra commerciale esplode, e con essa le tensioni internazionali. La Cina risponde con dazi pesanti, l’Europa si accoda, il Canada continua la sua battaglia sulla birra, e il mondo si trova in una spirale pericolosa.

Ma il vero problema è un altro: quanto ancora il mondo può reggere questo caos? Siamo usciti a fatica da una pandemia, stiamo navigando in una crisi climatica senza precedenti, e ora aggiungiamo una guerra commerciale globale al mix? Forse è arrivato il momento di smettere di giocare con il fuoco.

Il prezzo del protezionismo

Questa nuova ondata di dazi è un promemoria del fatto che la politica commerciale non è un gioco da ragazzi, e ogni azione ha conseguenze enormi. Se Trump continuerà su questa strada, il mondo intero ne pagherà il prezzo. E, ironicamente, a soffrirne di più potrebbero essere proprio gli americani che lui dice di voler proteggere.

Dopotutto, quando i prezzi salgono, chi paga alla cassa non è un politico in giacca e cravatta, ma l’americano medio che va al supermercato. E alla fine, i dazi non sono altro che una tassa camuffata. Una tassa che Trump impone al resto del mondo, ma che finisce sempre per pesare sulle spalle della gente comune.

E quindi, mentre il mondo aspetta la prossima mossa, c’è solo una certezza: l’economia globale sta entrando in un territorio pericoloso, e questa volta non basterà un tweet per sistemare tutto.

Ancora Nessun Commento

Lascia una Risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.