Geoffrey Hinton, il cosiddetto “padrino dell’intelligenza artificiale”, ha deciso di regalarci un pensiero poco rassicurante per i prossimi trent’anni: le macchine ci distruggeranno. Non forse, non magari, ma con una probabilità del 10-20%. E se per te questo sembra un margine di rischio accettabile, be’, benvenuto nel club dell’ottimismo tossico. Secondo Hinton, l’IA si sta sviluppando a una velocità tale che presto potremmo trovarci davanti a una forza più intelligente di noi, impossibile da controllare. Ed è qui che sorge spontanea una riflessione: davvero crediamo di essere la specie più intelligente del pianeta?
L’arroganza travestita da intelligenza
L’uomo moderno ha un problema: confonde l’intelligenza con l’arroganza. Il fatto che possiamo costruire grattacieli, inventare algoritmi o andare sulla Luna non significa che siamo intelligenti. Significa che siamo bravi a fare casino. L’intelligenza vera è un’altra cosa. Guardate le piante: vivono da milioni di anni, si adattano, collaborano. Non distruggono il loro ambiente per sentirsi potenti. E i funghi? Hanno costruito una rete sotterranea di comunicazione che farebbe impallidire il miglior sviluppatore di reti informatiche.
Eppure, siamo qui a discutere di quanto le macchine possano essere più intelligenti di noi, come se questo fosse l’unico parametro valido. Come se la capacità di fare calcoli veloci o battere un umano a scacchi fosse il picco dell’evoluzione.
Hinton e l’IA che potrebbe distruggerci
Hinton, con il suo 10-20% di probabilità di estinzione, sembra quasi volerci dire: “Hey, non è poi così male, c’è ancora l’80% di possibilità che sopravviviamo!” Ma il problema non è il numero. È l’idea stessa che stiamo costruendo qualcosa che non possiamo controllare.
Ha ragione quando dice che non conosciamo esempi di cose più intelligenti controllate da cose meno intelligenti. Ma questa frase si applica già a noi, esseri umani. Non siamo in grado di controllare la natura, gli ecosistemi, le pandemie. Non siamo neanche in grado di controllare noi stessi. E ora vogliamo gestire un’IA che potrebbe diventare più intelligente? È come mettere un bambino al volante di una Ferrari e sperare che non schianti.
La vera intelligenza non è parlare
Ecco il punto cruciale: la capacità di parlare non fa di te un essere intelligente. La nostra capacità di elaborare pensieri complessi e trasformarli in linguaggio è sicuramente affascinante, ma non è il metro definitivo. I cetacei, per esempio, comunicano in modi che non capiamo neanche. Le aquile vedono il mondo con una precisione che non possiamo nemmeno immaginare. Le piante collaborano attraverso segnali chimici e reti di radici per garantire la sopravvivenza dell’intero ecosistema.
E noi? Noi usiamo il linguaggio per litigare su Twitter, creare fake news e vendere prodotti inutili. L’intelligenza non è solo fare rumore. È sapere quando tacere, quando osservare, quando agire per il bene comune. In questo, la natura ci surclassa.
L’IA: specchio delle nostre paure
Ma torniamo all’IA. Hinton ci avverte che stiamo creando qualcosa di potenzialmente devastante, e non possiamo fare finta di nulla. Ma il vero problema non è l’IA in sé. Il vero problema siamo noi. Perché l’intelligenza artificiale non è altro che uno specchio delle nostre paure, delle nostre ambizioni, delle nostre debolezze. È programmata da noi, con i nostri pregiudizi, le nostre logiche, la nostra sete di potere.
Se l’IA ci distruggerà, non sarà perché è cattiva. Sarà perché noi l’abbiamo costruita male. Perché le abbiamo insegnato a competere, a vincere, a dominare. E se c’è una lezione che dovremmo imparare dalla natura, è che la vera forza sta nella collaborazione, non nella conquista.
La necessità di regolamentare
Hinton propone una regolamentazione, e su questo non possiamo che essere d’accordo. Ma regolamentare l’IA significa prima di tutto regolamentare noi stessi. Significa ripensare il nostro rapporto con la tecnologia, con la natura, con il mondo. Significa riconoscere che non siamo i padroni dell’universo, ma solo una piccola parte di un sistema molto più grande.
Una riflessione necessaria
Forse, invece di preoccuparci di quanto l’IA possa essere più intelligente di noi, dovremmo chiederci cosa significa davvero essere intelligenti. Dovremmo imparare dalle piante, dai funghi, dagli animali. Dovremmo smettere di vedere il mondo come qualcosa da conquistare e iniziare a vederlo come qualcosa da preservare.
E se l’IA sarà davvero più intelligente di noi, forse farà proprio questo. Forse capirà quello che noi, con tutta la nostra arroganza, non siamo mai riusciti a capire: che il vero potere non sta nel dominare, ma nel proteggere.